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Il filo cardato di Santa Limbania - Racconto-analisi della storia di Castelletto d'Orba e dintorni (parte 1)

In questo racconto-analisi, il nostro amico Andrea ci offre una panoramica, nel corso di vari secoli, della storia di Castelletto d'Orba, piccolo centro abitato dell'Ovadese, in provincia di Alessandria, e dei suoi dintorni, che in diverse epoche furono luogo di importanti avvenimenti e personaggi storici.

Come al solito la mia uscita dalla chiesa mi porta in una piazza parzialmente piena di vita vista l'oramai tarda stagione declinante verso l’autunno. Recupero dalla fresca biblioteca la mia bicicletta per riavviarmi lentamente verso casa iniziando a pedalare stancamente giù verso via Lavagello e Castelvero. Luogo importante in quanto, in questa zona, vi si trovava ai tempi uno dei pochi guadi transitabili sull'Albedosa, i nostri antichi progenitori erano sicuramente Liguri delle tribù dei Dectunines o dei Cavaturines ma molte volte sono collocati intorno al guado gli Odiates; in ogni caso, qualunque tribù abbia seriamente abitato la zona venne sicuramente influenzata da un forte elemento celtico. E' ora doveroso spendere due parole sui Liguri: le tribù erano riunite in grandi confederazioni che a loro volta formavano leghe tra loro, molte volte in guerra reciproca ma nella maggior parte dei casi in pacifici rapporti commerciali; vivevano di caccia, pastorizia e agricoltura di sussistenza abitando sulle cime e sulle creste appenniniche e, fondando i loro oppida (centri fortificati con molti abitanti, il numero di questi insediamenti misurava il potere di una confederazione, vicino all’insediamento vi era nella maggior parte dei casi una necropoli) in posizione strategica, riuscivano a controllare buona parte delle pianure sottostanti. Gli abitanti della costa risultavano inoltre dediti a una fiorente pirateria ai danni delle colonie greche ed etrusche soprattutto contro i mercanti di Marsiglia, causa del loro futuro attrito con Roma; la città capitolina inizia infatti ad interessarsi della zona nel 238 AC quando i liguri, alleati di Cartagine, fornivano ad Annibale appoggio e mercenari. La guerra è lunga e impari, tuttavia la potente città laziale avrà ragione del fiero popolo solo dopo la nascita di Cristo giungendo però a una pacificazione e romanizzazione di gran parte del territorio relativamente presto. Le guerre si svolgevano in questa maniera: un console penetrava nelle terre liguri con le sue legioni, prendeva qualche oppida, bottino e schiavi, tentava una penetrazione nel territorio più montano e interno ma, il più delle volte, veniva attirato in vere e proprie imboscate dove perdeva uomini e parte del bottino; quindi, i romani ottenevano quasi sempre il controllo delle zone pianeggianti e basso-collinari non riuscendo però a stanare i Liguri dalle colline più alte e dalle vette appenniniche: inutile dire che i consoli si sentivano sollevati quando riuscivano a attirare gli avversari in una battaglia campale potendo così sfruttare la loro superiorità tattica e di equipaggiamento. Per la nostra zona questo avviene nel 173 AC, il console per quell’anno Marco Popilo Lenate riesce a provocare le forze avverse in una grande battaglia campale, nella quale Roma perde ben 3000 legionari (quasi un’intera legione) ma gli Stattielli lasciano sul campo 10000 guerrieri e 700 prigionieri. La confederazione è di fatto sottomessa e inizia da questo momento l’entrata della zona nel complesso sistema romano, ben radicato nel territorio; infatti in zona passava una bretella di collegamento tra la Via Postumia e la Via Aemilia Scauri, due importanti assi viari romani zonali allacciati tra loro da un’arteria minore partente da Libarna (sulla Postumia) passante per Gavi, San Cristoforo per poi proseguire sul Gazzolo e scendere a Castelvero continuando la sua corsa fino a Carpeneto e Acquae Statiellae (Acqui Terme) sull’ Aemilia Scauri. Quindi la zona si presentava sicuramente trafficata e le prove archeologiche ci confortano soprattutto con il ritrovamento di laterizi e materiale di costruzione a Castelvero, zona abitata sicuramente anche durante la tarda età del ferro a confermare l’importanza strategica del guado, prove archeologiche che confermano l’esistenza di un insediamento romano rimasto nella memoria collettiva con il nome di Catrum Vetus. Ma la luce di Dio sta investendo l'Impero Romano: San Marziano, vescovo di Tortona, evangelizza le popolazioni di questi luoghi dando nuova speranza; sorge una cappella e dietro di essa, nel campo che avrebbe preso il nome del santo, sono ritrovati sepolcri e oggetti d'epoca romana.

Organismi civili e religiosi iniziano a fondersi, quindi è opportuno fare chiarezza: i romani dividevano le loro provincie prima in municipi a loro volta sezionati in pagi e vici; le circoscrizioni ecclesiastiche minori venivano sovente ricalcate sui pagi dove le cappelle facevano tutte capo a una pieve che impartiva battesimi, benediceva puerpere dopo il parto e, in un secondo tempo, si occupava anche delle funzioni più "civili" della riscossione delle decime. La suddivisione rimarrà nel Medioevo e sarà la base per la riscossione di decime e per occorrenze militari; il ricordo di questi pagi può anche essere la base di Rondinaria in quanto i territori di Silvano d'Orba, Tagliolo Monferrato, Rossiglione (parte est dello Stura), Belforte Monferrato, Lerma, Casaleggio Boiro e Mornese dipendevano tutti dalla pieve di S. Maria di Prelio, zona nella quale venivano comunque localizzate alternativamente nei diversi paesi le abitazioni degli schiavi incaricati della raccolta dell’oro nelle valli dello Scrivia e del Gorzente, secondo Goggi, questo antico pagus poteva chiamarsi "Arundinaria" e da qui il nome Rondinaria.
Castelletto comunque dipendeva da S. Innocenzo dalla pieve di S. Maria di Lemme, ancora esistente, a nord di Gavi, su una lingua di terra sull’ansa del torrente dal quale prende il nome, associata con le chiese di Parodi, Tramontana, Bosio, Capriata d'Orba e la stessa Gavi. Mancano comunque le prove archeologiche dell’esistenza di un vero e proprio pagus. La pianura comunque non si presenta più sicura per le popolazioni della zona in quanto stanno giungendo le spade barbariche a movimentare la ormai tranquilla vita della valle dell’ Albedosa. Quindi, i pacifici abitanti di Castrum Vetus si avviano verso le ancestrali dimore dei loro antenati posti sulle colline, posizioni sicuramente meglio difendibili dalle quali i castellettesi osservano sicuramente con preoccupazione e stupore gli ultimi colpi di coda dell’impero romano. Nel 402 arrivano i visigoti di Alarico seguiti a ruota da Burgundi e Ostrogoti che occupano militarmente l’Italia. Ma questa situazione a Bisanzio non viene accettata, e nella penisola italica arrivano i migliori generali bizantini (Belisario e poi Narsete) che dopo dieci anni di lotte riprendono il controllo della penisola. Ma oramai la popolazione non si fidava più, l’insediamento di Castelvero viene rapidamente abbandonato per ritornare agli antichi insediamenti di epoca preromana di difesa più agevole 6 in quanto nelle nostre zone collinari i castelli non derivano dai tempi di Carlo Magno ma sono molto precedenti, addirittura eredi dei castè liguri. Riprendono comunque i guai (i castellettesi si erano dimostrati previdenti): nel 568 arrivano i Longobardi di Alboino e occupano mezza Italia fissando la capitale a Pavia, ma il loro slancio viene temporaneamente fermato sui contrafforti appenninici dove le forze armate bizantine si attestano su una linea di difesa fortificata in alcuni punti che, secondo alcuni, formava in queste zone un saliente tra Orba e Scrivia con un punto fortificato anche a Castrum Vetus. Ma fermare la marea longobarda risulta quasi impossibile, e questi penetrano prima sullo Scrivia e, successivamente, fanno cadere la linea di difesa dell’intera zona nel 643 con l’offensiva che porterà a Rotari l’intera Liguria; inizia così l’epoca barbarica vera e propria nella zona, a Castelvero si stabilì un gastaldo 7 longobardo, e rimase corte di caccia per i sovrani che praticavano l’arte venatoria nell’estesa Selva Orba (corsi dell’Orba, del Tanaro e dello Scrivia). Infatti dalla parola longobarda gahagi (terreno riservato, bandita) si possono dedurre alcuni toponimi, l’attuale zona Gazzolo, ora piana destinata alla viticoltura e con poche vestigia del suo lussureggiante passato, era parte di un'estesa riserva di caccia facente parte quella che veniva definita Selva Orba (definizione dello storico longobardo Paolo Diacono). Toponimi come Frassineto, Fresonara, Frugarolo derivano quasi sicuramente da questo periodo, richiamanti il mondo silvestre o pastorale a dimostrazione dell’effettiva estensione della Selva Orba che dava un'aspetto del tutto diverso della rispetto i giorni nostri. 

Nel 774 arriva Carlo Magno che sconfigge il re longobardo Desiderio e divide il territorio in comitati con a capo un conte, funzionario civile e militare; solitamente queste giurisdizioni erano divise come le diocesi, quindi in questa zona erano presenti il conte di Acqui e di Tortona. Il grande imperatore fondò scuole e monasteri dando il via al sistema dell’economia curtense (ogni comunità e villaggio veniva organizzato in maniera razionale per avere migliori risultati economici) e portando la zona in un'enorme complesso politico e amministrativo che favoriva i commerci. Comunque, le cose belle come al solito durano poco, e alla morte del grande sovrano i figli iniziano i litigi e la situazione di instabilità politica perdurerà fino alla metà del X secolo. Sul trono d’Italia si susseguono a velocità impressionante diversi sovrani in un quadro di guerre civili, congiure e saccheggi sommate alle invasioni di Saraceni e alle scorrerie ungare. Si ha in questo periodo la distruzione di Rondinaria ad opera di mori di Africa e di Spagna che, nel 936, arrivano ad attaccare Acqui, respinti però dalla popolazione; cosa che non riesce ai vicini, infatti secondo Jacopo d'Acqui i saraceni avrebbero occupato per un certo periodo Libarna. In quest’epoca si ha quindi, secondo la tradizione, il primo incastellamento della zona con la Torre Buzzi a Castelletto e la torre dell'Albarola sicuramente utilizzata per lo scambio di messaggi (o meglio di allarmi) con le comunità vicine; l'Albarola viene comunque collegata dalla tradizione alla precedente pieve del Prelio (quella di Rondinaria) come campanile staccato perché facilmente visibile da tutti i paesi del piviere con una distanza media di soli 2/3 chilometri.

Il racconto-analisi del nostro amico Andrea su Castelletto e dintorni continua nel prossimo articolo, non perdetevelo!

La torre dell'Albarola

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