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Il filo cardato di Santa Limbania - Racconto-analisi della storia di Castelletto d'Orba e dintorni (parte 2)

Continua qui il racconto-analisi del nostro storico Andrea Cazzulo iniziato nel precedente articolo. Vi invito a recuperarlo se ve lo siete perso. Buona lettura!

Nel 951 il re Berengario II divide la Liguria e l'entroterra in tre marche (comprendenti ciascuna più comitati) per dare stabilità alla zona con a capo un marchese con prerogative civili e militari; le tre marche sono quella aleramica, arduinica e obertenga. La marca aleramica comprende i territori di Savona, Albenga, Asti, Acqui Terme e il Basso Monferrato, da Aleramo (già trattato in un precedente articolo) discenderanno i marchesi di Monferrato, di Ponzone, del Carretto, di Occimiano e del Bosco. La situazione inizia a complicarsi in quanto i marchesi del Bosco risultano feudatari anche di Silvano, Capriata, Tagliolo e Bosco, territori in piena marca obertenga, questo dimostra quanto fossero già complicate all’epoca le cose per quello che riguarda la fedeltà a un signore... La marca obertenga possedeva i territori di Tortona e Genova e Oberto sarà il capostipite dei Malaspina e dei Pallavicino ma anche dei marchesi di Gavi e di Parodi, questi ultimi feudatari di Castelletto; molte volte gli stessi domini risultavano frazionati tra famiglie diverse con ascendenti comuni (risultava possibile essere feudatari di metà o un quarto di un paese). Comunque, nel 967 Ottone I dona ad Aleramo i “luoghi deserti” tra il Tanaro, l’Orba e il mare con le curtes di Masone, Gruale, Ponzone e Sassello. Per quello che riguarda la marca obertenga, su cui si focalizza leggermente di più il nostro interesse, nel 972 il vescovo di Genova dà in affitto a Gavi dei terreni, ciò dimostra l’inizio della penetrazione economica e, successivamente, militare, della città costiera verso l’interno. Le terre cambiano gradualmente padrone e le grandi famiglie feudali, sempre più deboli, fanno strada ai grandi complessi fondiari dei monasteri che iniziano le opere di recupero e bonifica ferme dai tempi di Carlo Magno; nel 991 il figlio di Aleramo, Anselmo, estende i suoi possessi su Ovada, Carpeneto e Molare mentre le fertili pianure sono controllate dalle abbazie di San Salvatore di Pavia (con in mano Marengo, Orba, Frugarolo, Bosco, Basaluzzo, Novi, Pasturana e Toliano, presso Capriata) e San Fruttuoso di Capodimonte che possedeva le chiese di S. Innocenzo e S. Lorenzo (ce lo dice una bolla di Alessandro III nel 1162 a conferma di una di Innocenzo II a noi non pervenuta).

I monasteri come punti di potere si trasformano in questa epoca in vere e proprie piccole fortezze e dopo il mille vengono fondati nuovi monasteri che rientrano in possesso di proprietà di monasteri distrutti passati nelle mani delle grandi famiglie feudali. E' nel 1030 che viene fondata l’Abbazia di Santa Giustina a Sezzadio che diventerà in breve tempo grande e potente. La grande storia porta in questo secolo il marchese Berengario d’Ivrea a ribellarsi all’autorità imperiale inizialmente con successo diventando il vero e proprio sovrano della penisola e proteggendola dalle invasioni ungare. Il fallimento della ribellione porterà l’intervento degli imperatori della casata degli Ottoni e le successive rappresaglie imperiali che aumenteranno progressivamente il potere dei vescovi e alcune famiglie (come i Monferrato) che riusciranno a fare la loro fortuna ritagliandosi abilmente uno spazio tra le nascenti potenze comunali. Particolarmente forti in questa zona sono i comuni di Pavia, Genova e Tortona; nel 1121 il capoluogo ligure si affaccia prepotentemente nella zona occupando alcuni castelli sul crinale. Iniziano comunque gli attriti tra Tortona e Genova, quindi quest’ultima si allea con Pavia, lontana dal mare: i due importanti centri si promettono reciproco aiuto nella zona compresa tra Castelletto, Parodi, Carrosio, Montalto, Stazzano, Sarezzano, Voghera, Castelnuovo Scrivia, Sale, Rovereto, Gamondio e Sezzadio. Viene lasciato posto ai Marchesi di Parodi che aderiscono anch’essi ma ciò non ferma i castellettesi che si ribellano al loro signore e riescono a prenderlo prigioniero (si tratta di Alberto Zueta) sobillati dalla stessa Genova che accelera le trattative per l’acquisto del feudo di Parodi dalla contessa Matilde (figlia di Ranieri di Monferrato) per il prezzo di 700 lire. La potente città marinara inizia a fare leva sull’intraprendenza e sulle voglie di rivalsa della bassa nobiltà arrivando a controllare in maniera più o meno diretta l’intera valle dell’Orba, controllo che dura fino alla discesa del Barbarossa. Nel 1155 sono devastate Asti e Tortona aiutato da Guglielmo di Monferrato che nel 1166 supporta i nipoti (marchesi di Parodi) nella riconquista dei loro domini; in quello stesso anno uomini della Fraschetta e del Monferrato si riuniscono alla confluenza tra Tanaro e Bormida dando vita ad Alessandria, vera e grande entità comunale del luogo. Il 16 marzo 1169 il marchese Giacomo di Parodi dona il castello e la villa di Castelletto alla neonata entità comunale; tuttavia, metà paese era sotto il dominio del Marchese del Monferrato Gugliemo V che aveva acquistato i diritti per metà paese in data sconosciuta per farne poi dono al nipote Guglielmo Saraceno (figlio della sorella Matilde) che la ricederà allo zio in quanto non in grado di difenderla; il marchese se ne disinteressa bellamente avendo problemi di più grave entità ad Alessandria, costruita nel centro dei suoi domini. 

Quindi il paese rimane associato al potente comune di pianura ma non per molto, infatti nel 1174 abbiamo il prepotente ritorno di un uomo del passato per il quale l’impero era la cosa più importante in assoluto, Federico Barbarossa, che scende in Italia attraverso i valichi alpini e assedia Alessandria. Così il marchese di Monferrato si risveglia nella zona e assedia Castelletto riuscendo a riconquistarla e riponendola sotto il dominio del nipote, e il borgo ritorna per intero sotto la giurisdizione del marchese di Parodi. Ma il Medioevo è un’epoca violenta e Alessandria, liberatasi del Barbarossa (secondo alcuni con lo stratagemma del Gagliaudo) torna prepotentemente nella zona per riprendersi ciò che considera suo e inizia una vera e propria campagna di guerra nella zona contro i feudatari della zona ai quali viene portato aiuto in maniera pressochè immediata dai marchesi Bonifacio e Corrado del Monferrato (figli di Guglielmo). Ai tempi erano sicuramente botte da orbi dove un esercito di cittadini (per lo più appiedati) si confrontava con un esercito di stampo feudale con una minima cavalleria composta dai nobili e un più ampio schieramento di armigeri appiedati e ben organizzati; manco a dirlo tra i due litiganti erano sempre i terzi che godevano rappresentati dalla popolazione che si ritrovava una buona parte dei beni e del raccolto devastata alla fine della tenzone anche perché le soldataglie sia comunali che feudali, era così che si mantenevano. Ma anche la S. Romana Chiesa non rimane del tutto inerte nella zona, l’ Abbazia di Tiglieto risulta molto fortunata in quanto l’imperatore Arrigo VI il Severo le dona il castrum di Castelvero che da ora figurerà come grangia cistercense dipendente dall’Abbazia.

La contesa tra i Monferrato e Alessandria non è ancora finita, infatti il potente comune scende in forze e devasta le terre sotto il dominio dei marchesi facendo danni indicibili nei giorni della mietitura soprattutto intorno a Silvano d'Orba. Allora il marchese di Parodi si spaventa per la forza dei comuni e cede ai più potenti cugini, Bonifacio e Corrado, Castelletto, nella quale viene immediatamente posizionata una guarnigione (1187). L'anno dopo Alessandria riconosce il paese al Marchese Guglielmo II di Monferrato, ma vedremo che non sarà affatto una sistemazione definitiva. Intanto Castelletto cambia vescovo, nel 1198 papa Innocenzo III stabilisce che tutte le comunità comprese tra Orba e Bormida vengano concesse alla diocesi di Alessandria, quindi ci troveremo a dipendere religiosamente dalla città per moltissimo tempo prima di ritornare sotto Tortona. Ma le contese su chi obbedisce e chi comanda non sono ancora finite, visto che la forza bruta era servita a poco e gli alessandrini, che si ritrovavano con il morale decisamente risollevato dopo le dichiarazioni di Innocenzo III, provarono a portare il paese completamente nella propria orbita e, l’astuto popolo che diede i natali a Gagliaudo, ricorse all’arbitrato internazionale. Le cose si svolsero più o meno così: Alessandria presentò una petizione al marchese di Monferrato alla quale richiedeva il castello di Castelletto con tutte le sue giurisdizioni e pertinenze per via della donazione del 1169. I Marchesi, dal canto loro, risponderanno di essere effettivamente i possessori di metà paese e quindi, con questo diritto sostenuto davanti agli arbitri (delle Società di Lombardia, Marra e Romagna) il paese per il momento non cambiò padrone rimanendo nelle mani dei Monferrato in prossima partenza per la terza crociata al fianco di Riccardo Cuor di Leone. Questa partenza sollecitata dal pontefice e ben accolta dal buon Guglielmo V Lungaspada (così chiamato perché combattente eccezionale) inizierà l’epopea eroica dei marchesi del Monferrato in Oriente che li porterà ad avere parentele con le case regnanti del regno di Gerusalemme e di Bisanzio. 

Gli scaltri castellettesi, approfittando del viaggio del marchese, si allineano a Genova nelle guerre contro Gavi e Parodi (quando il gatto non c’è...) sicuri della protezione del potente comune marinaro promessa dallo stesso podestà Guglielmo il Guercio. Questa guerra locale porterà alla dissoluzione dei marchesati di Gavi e Parodi e sancirà la libertà di Castelletto che durerà dal 1201 al 1217, anno in cui i potenti marchesi del Monferrato, tornati dalle loro avventure orientali, riprenderanno il dominio sul paese e quando inizierà un ulteriore e lungo arbitrato presso la stessa corte imperiale ricordando le intere vicende del paese e i danni portati dalle scorribande alessandrine, soprattutto l’assedio di Castelletto negli anni 1183 e 1187. Forse l’imperatore Federico II non aveva nè il tempo nè la voglia, troppo occupato com’era ad essere lo stupor mundi e, forse, non si sarebbe mai interessato sul serio a una semplice comunità di contadini e cacciatori anche se posta su importanti direttrici appenniniche se non fosse stato per uno stretto legame di sangue con i marchesi del Monferrato (famiglia abbastanza prolifica); quindi, nel 1223, un privilegio imperiale assegna dopo un secolo di lotte il paese al marchese.
Lo stanco lettore esulterà con una lode alle potenze superiori, ma la tenzone non risulta affatto risolta: infatti, a quei tempi, un conto era il diritto teorico (oramai indiscutibilmente ai Marchesi del Monferrato) ma tutt’altro paio di maniche era la verità pratica come più avanti vedremo. I problemi nel territorio non potevano finire, se per l’imperatore era solo una minima parte dei suoi problemi per le comunità dell’intera Italia settentrionale il possesso di Castelletto in mano a un vassallo diretto della corona rappresentava un problema, l’antica strada diretta Milano-Genova passava presso il guado di Castelvero che risultava sì in mani cistercensi (quindi relativamente sicure) ma troppo vicino ai domini diretti dei marchesi. Una forte spinta a un eventuale cambiamento viene data, guarda a caso, da un pontefice e la cosa naturalmente è a favore dei comuni e non del marchese; Alessandro IV assegna tutte le chiese della pieve di Lemme al vescovo di Genova (è il 5 marzo 1255) dando così un influenza pesante della comunità marinara sull’oltregiogo a danno dei Monferrato ma anche di Alessandria e Milano. Questo provoca un nuovo putiferio, inizia un combattimento inizialmente a due e poi a tre in tutta la zona, nel 1289 il marchese di Monferrato occupa Alessandria ma l’anno dopo gli abitanti della comunità riescono a liberarsi e a prenderlo prigioniero, in questo periodo di prigionia (durato fino al 1292, anno della morte dello sfortunato Guglielmo VI) Asti, Alessandria e Genova iniziano a occupare buona parte dei suoi territori e iniziano le guerre tra la repubblica marinara e i due grandi comuni posizionati nell’immediato oltregiogo. I castellettesi come al solito si vedono alle strette, e il vassallo dei Monferrato (un certo Gati Ganluxij) fa la sua rapida mossa: per evitare brutali attacchi e saccheggi al paese dà in accordo con i maggiorenti della comunità (Giovanni Aratu, Anselmo Forninum, Jacopo Oberti, Rubeum Silastrum e Guglielmum Franciscum) degli statuti comunali trasformando così il borgo in un comune nel quale comunque il feudatario aveva un certo peso.

Oramai gli interessi di Genova si sono brutalmente spostati, in precedenza le guerre erano per Capriata, ora per Tagliolo, Rocca Grimalda e Castelletto, quindi la guerra si riaccende dal 1289 al 1305, data cruciale: in questo anno muore a Chivasso il Marchese Giovanni del Monferrato, ultimo discendente diretto di Aleramo, e gli subentra il cugino Teodoro Paleologo, figlio dell’imperatore di Bisanzio la cui madre era Iolanda del Monferrato. Teodoro si muove bene e in fretta, si lega tramite matrimonio alla casata degli Spinola (sposando Argentina) ottenendo così l’aiuto del buon Opizzino (suo suocero), condottiero militare abile e consumato che in poco tempo (poco più di un anno) riconquista ai comuni buona parte dei territori sottratti durante la prigionia di Guglielmo VI tra i quali anche Castelletto. La comunità giura fedeltà ai Paleologo che a loro volta concedono al condottiero il paese insieme a Serravalle, Stazzano, Arquata e Pasturana dando di fatto al grande soldato il controllo delle vie appenniniche. Teodoro non è uno sprovveduto e convoca immediatamente un parlamento al quale partecipano rappresentanti di tutti i suoi domini per riorganizzare lo stato delle milizie monferrine, il comune di Castelletto è obbligato in caso di guerra a fornire un solo milite in quanto sicuramente il feudatario sarebbe intervenuto con più consistenti aiuti. Inizia un periodo di relativa pace, la prima metà del XIV secolo non vede guerre devastanti nella zona ma i brutti clienti sono altri: nel 1346 ci si mette la natura, un terremoto tremendo distrugge metà paese e dà inizio a una terribile carestia; due anni dopo le soldataglie di Luchino Visconti prendono Capriata, Gavi e Voltaggio nella guerra tra Genova e Milano non dimenticandosi di saccheggiare Castelletto e, come se non bastasse, arriva anche la peste.
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